Breve visita di Traetta nell’ombra di Goldoni
Aveva appena passato i cinquant’anni Carlo Goldoni quando, nel 1758, dovendo scrivere il libretto della seconda opera del carnevale andò a pescare il vecchio canovaccio di Buovo d’Antona, come fu trapiantato da noi intorno al trecento, uno dei tanti romanzi d’avventure germogliati nell’età cavalleresca in terra britanna e franco normanna. Se poi Goldoni scoprisse Traetta, o Traetta, che aveva appena passato i trent’anni si rivolgesse a lui, o l’accoppiamento fosse mestiere, come di solito, dell’impresario, non sappiamo. Traetta non scriveva e Goldoni, nel suo sussiego di arcinota firma, non si abbassò a parlare del trentenne che, seppure avesse al suo attivo un buon numero di opere buffe sulle scene di Napoli, come si legge in un giudizioso saggio di Carilda Steffan era ancora quasi sconosciuto altrove.
Questo dramma giocoso ebbe una sua diversa circolazione da Venezia a Bologna, da Torino a Barcellona e da Siviglia fino a Dresda, la capitale dove aveva regnato Hasse. Dopo il 1772 scomparve nel silenzio.
Tale sorte non meraviglia. Da trenta, da quarant’anni non mancò mai a queste cerimonie di resurrezione, persuaso che dalla polvere che copre il gran cimitero di parti e partiture, che prima osò scavare, con ardimento di vergine britanna, Vernon Lee, debba saltar fuori un giorno o l’altro, il capolavoro. E da trenta, quarant’anni assisto a malinconici ritorni nei violati avelli. Il capolavoro non c'è. Gluck nella sua generazione e Mozart, per tutte, hanno ucciso tutti gli altri, Mozart in special modo che, assiso alla fine dell'’età e dei due stili, tutto filtra tutto si appropria. C’è perfino, in questo dramma giocoso di Traetta, qualcosa che prelude all’angoscia di Barberina nelle Nozze di Figaro. Prelude si, ma poi basta.
(…) “Una stima singolare per la persona1ità di Traetta - scrisse Giorgio Vigo1o - persisteva presso gli studiosi, che spesso lo avvicinavano a Gluck per il rinnovato aspetto che egli diede alla decaduta opera del ‘700, irrobustendola con una struttura tragica, con alterno impiego di cori e danze, curando l’orchestra ed elaborandone lo strumentale con spirito progressivo, ma soprattutto imprimendole una maschia vigoria, che reagiva alle mollezza e alo volgare edonismo del teatro di allora. (…) Più ancora degli accennati motivi della “riforma” e degli elementi tecnici e strutturali, come a nostro parere, il carattere e il timbro umano della personalità di Traetta, che nell’Antigone si manifesta. Questo carattere si impone con una forza, una scura intensità di dolore, un velo quasi funebre di tristezza, che forse troverebbero motivazioni biografiche nella vita del musicista, se meglio la conoscessimo. Nell’Antigone si è verificata una di quelle singolari coincidenze di quegl’incontri elettivi col personaggio, che delle volte permettono a un artista quasi di confessarsi nella sua musica, di immettervi le stesse forze segrete della vita.”
Tale genio tragico non compare nel dramma giocoso goldoniano, che resta il prodotto medio del “buffo” settecentesco, qualche cosa che, dopo le Nozze di Figaro, di rado riesce a dirci parole ancor fresche.
Tutto é filato alla Fenice, in frigida correttezza. La premiata ditta Pizzi, costretta a rinunciare alle fide colonne, ha sfogliato l’album del villereccio fine settecento. Il revisore Alan Curtis ha diretto, con sobria competenza, l’orchestra che tornava nella sua buca dopo due giorni di sciopero della miglior tradizione italiana. Hanno cantato, nel vuoto imbambolato di una regia quasi inesistente, Caterina Trogu-Rohric, Roberto Balcon, Daniela Del Monaco, Howard Crook, Francesca Russo-Ermo1li, Gian Paolo Fagouo, Giuseppe Zambón. Non ho indicato i ruoli, per la buona ragione che nessuno li conosce e mal più li ricorderà. C’è anche un Lighting designer, chissà mai cosa fa, che si chiama Guido Levi.
Da Il Giornale
<< Home