Che monotono “Buovo d’Antona”
Abbiamo riascoltato Buovo d’Antona, di Tommaso Traetta, finalmente in scena con l’orchestra. Per il dramma giocoso goldoniano, il compositore “napoletano” aveva a disposizione una compagnia di canto di buon livello; la parte di Buovo fu scritta infatti per Piero Canevai mentre per la bella molinara Menichina Traetta aveva a disposizione Catenina Ristorini.
Le qualità vocali degli interpreti sono dunque alla base della scrittura musicale di un’opera che, seppur non propriamente un capolavoro, presenta pagine di nobile fattura e funzionali ad una drammaturgia che sfrutta collaudati espedienti. Bene ha fatto pertanto La Fenice a mettere in cartellone, in occasione del bicentenario goldoniano, un lavoro completamente dimenticato: le celebrazioni sono anche un momento di verifica.
Ma proprio perché Buovo d’Antona non é un capolavoro andava riproposto con interpreti in grado di valorizzarne i momenti più belli. Punti deboli dello spettacolo - ne abbiamo avuto una riprova anche l’altra sera - sono stati i giovani cantanti e soprattutto Alan Curtis.
Il musicologo americano ha optato per una piccola formazione orchestrale (più o meno una ventina di elementi) sicuramente vicina a quella utilizzata per la prima esecuzione del Buovo al San Moisè, ma l’ha diretta con estrema monotonia.
Mancavano, insomma colori espressivi e una vitalizzante ricchezza agogico-dinamica che rendesse giustizia al povero Traetta.
Unica conferma positiva l’allestimento di Pier Luigi Pizzi. Non più che cordiale l’accoglienza del pubblico.
Il Gazzettino, Mario Merigo
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